Fonte: Il Sole 24 Ore

Il Sud non può essere consegnato né all’oblio della storia né alla rassegnazione del presente. È un elemento cardine di ogni agenda politica che sia – o che abbia l’ambizione di essere – razionale e di lungo respiro, lungimirante e capace di visioni. Il destino del Mezzogiorno è il destino del Paese stesso, che ha nella sua complessità il suo principale valore storico e strategico. Ed è così anche oggi, nonostante il mutamento delle mappe della geopolitica internazionale abbia relegato l’Italia a una maggiore perifericità.

Questo cambiamento ha costretto il nostro Paese a cercare un nuovo ruolo, dopo la sua funzione di cerniera – nel tempo del Secolo Breve – fra l’Ovest e l’Est dell’Europa e fra il Nord e il Sud del Mediterraneo.

L’integrazione fra le realtà economiche e sociali del Mezzogiorno e del Centronord è così intima e profonda che la lenta liquefazione della prima – tramite l’abbandono o l’autoaffossamento – equivarrebbe alla scomparsa di una parte essenziale del quadro: quasi che la letteratura italiana possa essere rappresentata da Alessandro Manzoni senza Luigi Pirandello, da Italo Calvino senza Leonardo Sciascia. Il Sud è malato. Le statistiche della Svimez, al di là degli andamenti congiunturali, evidenziano la sua distanza strutturale dal resto dell’Italia. Non possiamo non pensare a nessuna altra ipotesi politica e culturale, civile e economica che non contempli la sua guarigione: lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri padri e soprattutto ai nostri figli.

Questa guarigione non può che avere una doppia radice. La prima è interna: le energie pubbliche e la dignità privata, l’etica individuale e lo spirito imprenditoriale del nostro Sud sono i fattori che possono ricomporre il tessuto materiale e spirituale di questo pezzo dolente del Paese. La seconda radice è esterna: una nuova fase politica del Governo centrale – si sarebbe detto una volta – che non solo lenisca il senso di abbandono di questi cittadini italiani che non sono di serie B, ma che proponga (e imponga) procedure e prassi trasparenti e razionali, moderne e verificabili, in grado di fare compiere un salto di qualità concettuale e operativo a qualunque tipo di progetto, munito di maggiori o minori risorse finanziarie. La giornata che venerdì 29 luglio Matteo Renzi ha trascorso prima a Taranto e poi a Sassari sembra andare in questa duplice direzione: evitare l’oblio e garantire un sostegno non formale, non negare gli strumenti classici di intervento pubblico ma rimodulandoli secondo nuovi canoni. La Sardegna e la Puglia sono due passaggi fondamentali nel tentativo di costruire una nuova road-map – direbbero gli esperti di governance – per il Sud. Una cosa è sicura. Le vie del Sud – per citare Riccardo Musatti, scrittore raffinato alla corte di Adriano Olivetti degli anni Cinquanta – non sono diritte e pianeggianti. Ma le vie del Sud non sono finite.